Dopamina per l’Alzheimer nuove conferme di vecchie scoperte

Roma, marzo 2018 – Nella lotta all’Alzheimer, malattia che per anni non da sintomi, fa perdere i collegamenti tra i neuroni e distrugge i neuroni stessi, l’attenzione dei ricercatori e delle case farmaceutiche è da sempre rivolta principalmente ai neurotrasmettitori, capaci di agevolare la trasmissione dei segnali tra i neuroni, che nella malattia vanno perdendo la loro capacità dialogare, fondamentale per il funzionamento del cervello. I neurotrasmettitori, tra cui la dopamina, sono basilari per la formazione dei ricordi e quindi per la memoria che, per i ricordi a breve termine, risiede nell’Ippocampo. E’ del 2017 la notizia che un gruppo di ricercatori del Campus BioMedico e dell’IRCCS Santa Lucia, coordinati da Marcello D’Amelio, ha confermato che la diminuita produzione di dopamina causa la compromissione dei ricordi. A produrre la dopamina è l’area tegumentale ventrale (VTA), quando le cellule di questa area diminuiscono, scende la capacità di produrre la dopamina necessaria all’Ippocampo e ne risente la capacità di apprendere e ricordare.


A fine marzo 2018 i giornali hanno dato notizia che un gruppo di ricercatori dello Sheffield Institute for Translational Neuroscience, in Gran Bretagna, ha confermato con nuovi dati i risultati di D’Amelio. Anche nello studio svolto a Sheffield alcuni dei ricercatori sono italiani: Anna Venneri e Matteo De Marco, i quali spiegano che la diminuita produzione di dopamina può essere uno dei fenomeni che accompagnano l’inizio dell’Alzheimer.


Dai lavori dei due gruppi di ricerca svolti in Italia e in Gran Bretagna stanno partendo nuove sperimentazioni per verificare se e quanto i farmaci basati sulla dopamina stimolano la plasticità cerebrale e se la produzione di dopamina da parte dell’area tegumentale ventrale (VTA) potrà essere considerata un elemento predittivo della malattia di Alzheimer. Solo al termine di queste sperimentazioni, probabilmente tra qualche anno, potremo sapere se si è aperta una nuova strada per individuare precocemente l’Alzheimer, che come è noto non da sintomi per molti anni, nel corso dei quali distrugge silenziosamente i nostri neuroni. Forse si aprirà una nuova possibilità di diagnosi, ma la cura resta ancora sconosciuta.


I controlli a partire dai 50 anni, i test predittivi e le diagnosi precoci dell’Alzheimer sono fondamentali per combattere questa malattia che non ha possibilità di cura e distrugge lentamente e irreversibilmente i neuroni, senza dare sintomi, e nell’arco di 15 – 20 anni devasta il corredo neuronale. Quando si arriva alla malattia conclamata diventa impossibile curare, a meno che non si trovi un sistema per rifornire il cervello dei neuroni distrutti dalla malattia. Per questo tutti gli sforzi sono mirati alla prevenzione e alla diagnosi precoce, per poter individuare i malati, che però non presentano sintomi, prima possibile quando è ancora possibile proteggere tutti i neuroni che fino a quel momento non sono sati colpiti dalla patologia. Un protocollo per prevenire, e contrastare l’Alzheimer nei soggetti con i primissimi sintomi, è stato sperimentato con successo dal Prof. Lamberto Maffei all’Istituto di Neuroscienze del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa, ed ha portato miglioramenti nell’80% dei soggetti trattati. Il protocollo, chiamato Train the Brain (Allena il cervello) non prevede l’impiego di farmaci e viene applicato dall’Università Sapienza di Roma. Per diffondere la conoscenza del protocollo e la cultura della prevenzione presso i cittadini, che dopo i 50 anni possono essere a rischio, è stata costituita la Fondazione IGEA Onlus.



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Il collegamento tra la dopamina e la capacità di funzionamento del cervello e della memoria è noto da tempo e ne è stata una affascinante testimonianza il lavoro del Dr. Oliver Sachs che a New York nel 1967 ha curato con la L-dopa, un derivato della dopamina, un gruppo di persone che, colpite da encefalite letargica, erano rimaste con la memoria congelata a molti anni prima. Il trattamento sperimentale del Dr. Sachs, che riportava faticosamente e lentamente i pazienti alla realtà, è stato descritto dallo steso medico nel libro dal titolo significativo “Risvegli”, un successo editoriale che ha anche portato alla realizzazione di un famoso film dallo stesso titolo con Robin Williams e Robert De Niro.