COVID 19: evoluzione delle cure e tempi necessari per il vaccino. Incontro scientifico Lincei – Società Chimica Italiana
Roma luglio 2020 – Le attività terapeutiche per i malati di COVID 19 sono in continua evoluzione man mano che vengono acquisite nuove conoscenze su questo virus SARS-CoV-2 finora sconosciuto, che per la prima volta ha aggredito la comunità umana e per il quale non c’è ancora un vaccino. Le cure stanno migliorando ma l’unica efficace arma di difesa rimane attualmente la prevenzione.
Un incontro scientifico è stato organizzato dall’Accademia dei Lincei e dalla Divisione di Chimica Farmaceutica della Società chimica Italiana (DCFSCI). Il Prof. Ernesto Carafoli Accademico dei Lincei ha ricordato che il virus è capace di cambiare e muta la sua natura, la variante che è in Europa e negli USA ha subito una mutazione e non si capisce perché questo sia avvenuto. Tutto ciò rende molto difficile individuare una difesa.
Lo sviluppo di nuovi farmaci è sempre una strada molto lunga e difficile, ha detto il prof. Gabriele Costantino dell’Università di Parma, anche perché una volta individuato un possibile farmaco sono necessari molti mesi di sperimentazione per provarne l’efficacia e principalmente per garantirne la non tossicità e l’assenza di effetti collaterali indesiderati. Quindi è bene diffidare di annunci di nuovi farmaci realizzati in tempi brevi, che purtroppo trovano facile e pericolosa diffusione sotto la pressione della preoccupante situazione pandemica. Guardando al prossimo autunno e al rischio di una nuova ondata, il prof. Costantino ha raccomandato di fare la vaccinazione antinfluenzale che potrà svolgere una azione protettiva e sarà molto utile per poter studiare la compresenza del SARS-CoV-2 e del virus influenzale.
Vari farmaci già esistenti e in produzione per altre patologie sono stati tentati per il COVID 19 e continuano ad essere sperimentati sotto la pressione dei contagi che ancora continuano in Italia e in tutto il mondo. Alcuni farmaci, appartenenti a varie categorie, hanno dato buoni risultati iniziali, che però necessitano di conferme per provarne l’efficacia sul COVID 19. Tra questi ha ricordato la prof.ssa Gabriella Santoro dell’Università di Roma Tor Vergata, molto importanti sono i risultati ottenuti con il Remdesivir. Il trattamento dei malati di COVID 19 con questo farmaco ha consentito una riduzione di 1/3 delle ospedalizzazioni e un recente studio condotto su 312 pazienti positivi ha mostrato una riduzione nel rischio di mortalità. Il Remdesivir non ha gravi effetti collaterali ma provoca problemi al fegato, questo farmaco, come ha ricordato il Prof. Giuseppe Ippolito dell’istituto Nazionale Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani è stato approvato negli USA dalla FDA, ma i dati raccolti non sono ancora definitivi. Al momento può essere considerato un buon punto di partenza per futuri sviluppi.
Altri farmaci interessanti sono il Tocilizumab e l’Azitromicina. Altri come il Lopinavir-ritonavr non hanno ancora dato evidenti benefici, anche l’HCQ necessita di prove più solide attraverso studi clinici appropriati. Allo stato attuale, ha concluso la prof.ssa Gabriella Santoro, l’arma principale contro il COVID 19 rimane la prevenzione (mascherine, distanziamento, pulizia delle mani).
Intanto mentre si continua a fronteggiare la situazione migliorando le cure per i malati, l’obiettivo principale rimane la realizzazione di un vaccino che presenta notevoli difficoltà. In occasione di precedenti epidemie, ad esempio per l’Ebola, i tempi necessari per trovare il vaccino sono stati di oltre 5 anni, ha ricordato il prof. Gianluca Sbardella dell’Università del Salento. In altre epidemie non sempre si è arrivati alla individuazione del vaccino, come nei casi di HIV, malaria, zika, SARS, che ancora non hanno una difesa. Per il COVID 19 ci sono migliori prospettive ma solo perché questa volta è tutta la comunità scientifica internazionale che sta lavorando alla ricerca, con un impegno che non ha uguali nella storia scientifica mondiale e anche con un volume di investimenti mai raggiunto prima.
Accanto alla attività clinica e alla ricerca è importante garantire una corretta e univoca informazione sull’opinione pubblica evitando notizie contrastanti e i pericoli della disinformazione e delle false notizie (fake news) sulla pandemia. Il prof. Enrico Bucci dell’Università di Temple ha ricordato che sul COVID 19 sono stati pubblicati fino a 137 articoli al giorno, quasi tutti contenenti superficiali opinioni non dimostrate con dati, spesso contenenti evidenti falsi scientifici. Queste a volte sono state usate dalla politica, come il plateale uso di clorochina di alcuni Capi di Stato o le più gravi dichiarazioni fatte negando l’esistenza del COVID 19. Anche scienziati alla ricerca facile di visibilità sui media si sono lanciati in dichiarazioni prive di prove scientifiche. E’ stato il caso del Premio Nobel Luc Montagnier che aveva lanciato l’accusa che il virus SARS-Cov-2 fosse stato fabbricato in laboratorio. Presunti risultati positivi di vari studi sono stati pubblicati, sempre alla ricerca di visibilità, su importanti riviste scientifiche che poi ad una attenta verifica sono state costrette a ritirarli. Ad esempio studi sull’uso della clorochina contro il virus pubblicati su riviste scientifiche hanno provocato la reazione di 181 scienziati internazionali che hanno scritto chiedendo e ottenendo la ritrattazione. Informazioni clamorose ma errate nella rete hanno trovato facile moltiplicazione arrecando grave danno per una corretta informazione al pubblico, che è fondamentale per difenderci dalla diffusione del virus. E’ stato quindi raccomandato di diffidare dalle opinioni lanciate nella rete e di considerare seriamente solo le comunicazioni dimostrate con dati scientifici reali.